domenica 13 maggio 2012

Vivere o morire sul Bracco

Il compianto Richard Britton in azione alla curva di Glen Helen, al TT.
E' morto un ragazzo di 37 anni e questo di per sé è già un fatto grave. E' deceduto perdendo il controllo della sua moto sul passo del Bracco, nell'immediata prossimità del bar-ritrovo del Tagliamento, finendo la sua corsa contro un gruppo di altre moto parcheggiate a bordo strada e ferendo un altro motociclista, ignaro del pericolo incombente e suo malgrado incolpevolmente coinvolto nello strike.
Aprendo la pagina on-line di un noto quotidiano locale (il Secolo XIX) ho appreso la notizia e ho dato uno sguardo al breve video che mostra il punto dove la moto ha terminato la sua folle corsa e le fasi di recupero dei mezzi incidentati . Conoscendo abbastanza bene la zona ed essendo io stesso un quasi ex-frequentatore del passo (i crescenti impegni lavoro-famiglia mi hanno fatto diradare le uscite a medio-largo raggio) mi sono sentito in dovere di riaffermare un concetto qui sul blog che mi è sempre stato caro: La strada di tutti i giorni o del week-end non è il Tourist Trophy e noi non siamo i top riders delle road races, considerato che nemmeno questi ultimi sono immuni dai rischi e immortali.
Ho dunque aperto il post riproponendo un'immagine di Richard Britton, uno dei più veloci piloti anglosassoni  della specialità deceduto nel 2005 nella semi-sconosciuta Ballybunnion, Irlanda del Sud.
Pensate a un pilota come lui , che per quanto fosse annoverato tra i privati  era pur sempre un professionista, correva da una vita nei campionati dedicati alle corse stradali, su tracciati chiusi al traffico e con una (perlomeno) parvenza di messa in sicurezza e una struttura organizzativa.
Ora pensate a noi comuni motociclisti, che prendiamo a pretesto una bella giornata di sole per affrontare i tanti tracciati ricchi di curve che si possono trovare in quasi tutte le regioni del nostro bel paese.
La moto è ormai un mezzo prestante, evoluto, estremizzato in tanti dei suoi concetti e molto più simile a quelle che calcano i circuiti di quanto non lo fossero solo pochi decenni or sono. Viceversa le strade son quasi sempre rimaste le stesse, se non peggio; ricche di insidie spesso subdole e perennemente in agguato, pronte ad approfittarsi della nostra ingenuità o del nostro istante di incoscienza.
Ecco, l'unica possibile alternativa alla pista per gli amanti delle curve su strada a tutto gas è iscriversi al campionato italiano velocità in salita, senz'altro meno estremo delle corse anglosassoni e molto ben strutturato e organizzato, anche a livello di sicurezza.
Ma questo è un discorso che ho ribadito più e più volte. Oggi vorrei solo essere virtualmente vicino alla famiglia di questo ragazzo, che inseguendo una passione è stato tradito forse dalla troppa foga o forse da una di quelle subdole insidie(non è escluso un guasto tecnico) che non poteva prevedere o sottovalutava. Non gettiamogli croci addosso. Non criminalizziamolo.
Domani resterà solo una famiglia con un grande vuoto, ci saranno le inevitabili ripercussioni a 360° nei confronti di coloro che percorreranno il passo in moto, anche quelli che proprio non ci pensano affatto a correre e sarà un susseguirsi di considerazioni pro e contro i motociclisti.
Per una strana coincidenza prima di connettermi ero in garage, a lamentarmi  di uno switch del freno anteriore che per un falso contatto (o per manifesta anzianità/inoperosità) lasciava accesa  la luce degli stop.
E dire che non dovevo uscire in moto, ma la passione ogni tanto ti fa passare nel box per sincerarti del suo "stato di salute", manco sia dotata di una vita propria.
Sedici anni fa, dopo aver ritirato la moto nuova a Ceparana avevo percorso il Bracco per tornare a casa, vinto dalla tentazione di gustarmi il Monster sul suo terreno più congeniale. Niente di più vero.
Oggi mi sforzo di vivere il motociclismo in modo alternativo al semplice sfogo adrenalinico, sfuggendo alla voglia di sentirmi per un momento al TT.
Lo so che è da ipocriti, ma ripromettiamoci di ragionare.


4 commenti:

  1. Caro Sburbiz, io questi pensieri ce li avevo quasi tutti i giorni quando frequentavo le strade romane: la Pontina, la Salaria, la Flaminia, l'Aurelia... e se ne potrebbero aggiungere a iosa.
    Di cosa sto parlando? Sto parlando delle numerosissisime, croci, altarini, mazzi di fiori, fotografie, scritte che ricordavano incidenti luttosi. Una strage.
    Ti sembra normale? A me no. E per la maggior parte si trattave di vittime giovani: ventenni, sedicenni, diciottenni, che solo a pensarci mi si stringe il cuore. Se non mi ricordo male, anni fa si parlava di 3.200 morti fra i giovani sotto i trent'anni sulle strade italiane. Una strage, altro che le bombe di al-queda od il terremoto dell'Aquila, ce ne rendiamo conto? E non voglio fare un distinguo fra motociclisti od automobilisti, il problema c'é ed è reale ed è quello del malessere di una società in cui la fuga dalla realtà (droga, alcool alla guida e quant'altro) e di gran lunga preferibile alla medesima.
    Io trovo allucinante che uno "per divertirsi" debba fare il passo del muraglione limando le saponette, o che sia necessario fiondarsi sulle statali a velocità pazzesche.
    Per me ancora vale l'equazione motocicletta = libertà, ma per molti vale ancora l'equazione libertà = velocità = motocicletta.
    Ecco, come dici tu, è su questo che dobbiamo iniziare a ragionare, a mio avviso...

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  2. Già,non mi sembra uno sforzo immane. Per limare le saponette (ammesso che serva)sui tracciati stradali resta valida l'opzione di richiedere la licenza e iscriversi al campionato di gare in salita.
    Non voglio essere frainteso, non sono un moralista e ripeto, fino a pochi anni fa al posto di quel povero cristo potevo esserci io. Quello che vorrei trasmettere è l'idea di libertà svincolata dall'obbligo di dare gas a tutti i costi, come ribadisci giustamente tu. E' per questo che ho scritto di riprometterci di ragionare. Una volta nella vita abbiamo commesso tutti delle fesserie.
    Oggigiorno è meglio partire da un reset generale, perché non c'è più il traffico di un tempo e nemmeno le persone sono le stesse. La società è cambiata, devono adeguarsi anche i motociclisti.
    In positivo ovviamente.

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  3. Queato tuo ultimo post si rialaccia al precedente "Il pericolo come mestiere" e il mio commento è praticamente lo stesso,se si muore in pista con il massimo della sicurezza figuriamoci nelle strade aperte al traffico,solo un buon uso del cervello ti puo salvare,tra l'altro gli ultimi dati dicono che gli incidenti mortali motociclistici sono in aumento rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.....abbiamo davvero cominciato male
    Ciao da Nicola(scrubs)

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  4. Già, nemmeno a farlo apposta i due post parlano di pericolo e sicurezza, cose che secondo me dovrebbero essere scontate dal momento che si viaggia su un mezzo in equilibrio su due ruote, ma non è per tutti cosi'. Come dici tu e ci ripetiamo sovente il cervello ci può salvare la pelle. In pista gradatamente si è cominciato a pensare alla sicurezza oltre la competizione. Su strada è un concetto ancor più necessario e molto più duro da far comprendere.

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